EREMO DI CAMPELLO SUL CLITUMNO
Arrivo con il treno alla stazione di Trevi, mi sta aspettando Paola, una pittrice che aiuta le sorelle dell’Eremo, accompagnando i visitatori. Il taxi infatti non sale fino lassù in cima, ma scarica le persone all’altezza del cimitero, per non arrampicarsi per l’ultimo tratto di strada, stretto e sassoso. Orlando e Lella ci salivano abitualmente in Vespa, in una delle visite memorabili con una pianta di calicantus. Il perimetro del monastero, un alto muro di pietra, si staglia tra gli di ulivi lungo la costa del monte. Ci fermiamo davanti ad un cancello di legno; per suonare la campanella bisogna sollevare il bastone appeso alla parete. Ci viene ad aprire una delle sorelle, nel suo vestito azzurro, la divisa dell’estate- in inverno lo cambiano in grigio. Sono in quattro, mi spiega sorridendo, e ci sono anche altre quattro ospiti venute a trascorrere un periodo di ritiro, una in arrivo e due in partenza. Dal cancello all’eremo si attraversa un lungo cortile alberato, ed ogni tronco porta una targa con scritte sapienziali di varia provenienza, non solo cristiane: «Vi è una meravigliosa provvidenza nelle spine.», «Contra spem in spem», «Alla sera della vita saremo interrogati sull’amore (San Giovanni della Croce)», «L’albero del silenzio dà il frutto della pace (proverbio indiano)», «Dolore è apprendimento (Eschilo)» “O dignitosa coscienza e netta come t’è picciol fallo amaro morso! (Dante)», «Siate semplici come le colombe (Matteo X 16)» e non manca il familiare «Ut omnes unum sint». L’eremo è un antico convento francescano del Cinquecento, che si differenzia da tutti gli altri luoghi francescani per un particolare: non è costruito presso una fonte, e di fatti non c’è l’acqua corrente. La responsabile, Daniela Maria, mi prega di non diffondere le foto dell’interno del convento, che conserva ancora una grotta in cui, come alle Carceri, si sarebbe ritirato in preghiera San Francesco. Dopo la preghiera e il pranzo comune, nel quale rallegriamo le ospiti con gli aneddoti di Orlando affrescatore dell’Eremo- vi posso assicurare che ha fatto un ottimo lavoro, rischiando, a modo suo, con un colore audace e innovativo - Daniela Maria mi accompagna in passeggiata nel loro bellissimo orto, mostrandomi il luogo in cui le sorelle celebrano la propria consacrazione, all’aria aperta, alla presenza degli ospiti e degli amici. Non sono riconosciute ufficialmente dalla Chiesa, non appartengono a nessun ordine e la loro cerimonia non avrebbe nessun valore per un vescovo, ma questo per loro non significa nulla, anzi: libertà, ed ecumenismo. Alle due del pomeriggio inizia il ritiro, con la regola del silenzio: le sorelle si chiudono nella clausura, noi ospiti possiamo riposare, meditare, passeggiare per l’ampia fetta di bosco compresa tra le mura. Siedo su una panca nel cortile, a leggere la biografia di Maria la Minore, al secolo Valeria Pignetti, la fondatrice di Campello; ma l’ora più calda del giorno infonde un torpore irresistibile, mi accoccolo a dormire all’ombra degli alberi, anche se la panca è un po’ scomoda; in fondo in questo luogo monastico si dorme anche per terra. Mi disturbano dal cancello, urlando piuttosto sguaiatamente: «Ehiiiiii! C’è nessunoooo?» E’ una comitiva di ragazzi che ha raggiunto l’Eremo a piedi; non suonano la campanella e quindi non viene loro aperto. Meglio ritirarsi dentro la foresteria, dove riprendo a leggere la storia di Sorella Maria, che nella sua corrispondenza con il Mahatma Gandi scriveva: «Io sono creatura selvatica e libera in Cristo.» Orlando amava molto ripetere il principio della sua spiritualità, il “Sacrum Facere”. Nell’ultima mezz’ora prima delle quattro, quando il ritiro finisce, salgo a passeggiare per i sentieri, diligentemente tracciati per il giardino del convento. Il panorama tra gli ulivi è il più bello che abbia visto in Umbria, ma l’attesa è interminabile; dubito seriamente di essere portata per la vita contemplativa. Almeno riuscissi a guardare dentro di me, penso, mentre salgo su una terrazzina che dà sulla vallata. A capire qual è la mia strada. Mi fermo a contemplare sulla balaustra, dove si posano le colombe. E mentre mi giro a fotografare un po’ più in lontano, mi sembra di sentire dentro, chiara e tonda, una rivelazione. Porca miseria, l’Eremo di Campello funziona… Al momento della partenza le sorelle e le ospiti mi accompagnano in fila indiana, recitando una speciale preghiera di saluto. |
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