Vicino Assisi, a Spello, c’è oggi un artista che tesse con i fili.
Che cos’è per lei un “frammento”?
È tutto l’universo in un piccolo sassolino. Un sassolino mi parla più di una montagna. Tutto qui.
Per la sua integrità. Sì, anche per il lavoro del tempo; direi che quando guardiamo la pittura di Giotto, o direi di Piero della Francesca, non siamo di fronte all'opera di Paolo, di Piero o di Giotto, ma piuttosto siamo di fronte a ciò che il tempo ha compiuto. Distruggendo in qualche modo una creazione, il tempo ha restituito ciò che è la bellezza invisibile, la più grande, che direi del Sublime.
Quest’artista è Orlando Tisato. Se iniziamo da lui è perché tutto in lui, nella sua persona, il suo stile di vita, il suo modo di lavorare esprime qualcosa di palpabile dello spirito francescano.
I miei violetto, soprattutto. È la sintesi del colore. Direi che non si può pensare all’Umbria, e Spello in particolare, senza avere il violetto, ed è una fusione.
Durante gli anni ’70 sono stato a New York, e per le strade di New York trovavo i più vari materiali, belli, che si potevano usare per fare qualcosa. Allora ho cominciato a lavorare, non importa su cosa, soprattutto con dei tessuti, diversi materiali. E a poco a poco ho fatto delle esperienze molto interessanti. Le ho abbandonate lì, dopo essere tornato in Italia, ma finalmente ho cercato la libertà, e soprattutto attraverso materiali diversi ho ritrovato il gusto, il piacere della manualità, la scoperta di qualcosa di nuovo, che sempre lo stesso: essere al massimo della semplicità, partecipare alle idee prima di fare il quadro, ma vivere un’azione.
No, parto da una struttura, possibilmente il quadrato o il cerchio, perché il cerchio per me è l’ideale di spazio. Quando lavoro mi sento già dentro il quadro, vivo l’azione come se fossi nel quadro.
Inizia dal tirare un filo, dei fili sul suo quadro, poi in seguito intrecciate dei frammenti di stoffa, ma questi pezzi sono accuratamente ritagliati oppure li prendete così come capitano?
Comanda la materia, ma la mia è una materia povera, quasi morta, sono stracci, fili, lana, nylon. Lavoro con questo materiale povero perché non posso lavorare con dell’oro, ma mi piacerebbe lavorare con l’oro e le pietre dure, come facevano gli antichi. Ho sempre in me la visione della bellezza silenziosa plastica; allora, quando parto, cerco innanzitutto di creare lo sfondo della mia contemplazione. Con dei fili, del nylon o della lana, materiali misti, creo lo spazio, la superficie, nella quale in seguito entrerò con un’altra azione, con dei pezzi di stoffa, vecchi, non importa come, e lavorerò così fino a quando non arriverò a vedere qualcosa che mi dica: “Taci. Qualcosa si è fatto.” E questo è il mio lavoro.
È un viaggio: ritornare al bel luogo della memoria, della mia infanzia, di tutte le cose che ho fatto in tutto il mondo, in Australia, in Francia, e ad Assisi; non potevo portare con me tutta la bellezza che ho trovato fuori.
Credo di sì. Quando sono arrivato qui, ho trovato Assisi ed ho perso la mia pittura, talmente ero preso dalla beltà e dall’interesse per la preghiera, per la solitudine, dal venire alla mattina presto nella chiesa di San Francesco quando non c’era nessuno, a pregare lì, a contatto con l’arte e la poesia nate con San Francesco, sulla sua tomba. E sono vissuto per due anni senza fare quasi nulla, solo contemplare. Quel tempo è passato, ed allora lentamente ho dovuto ritrovare il mio lavoro, ed è stata una completa rivoluzione.
Secondo lei cosa c’è di più forte e di più attuale nella spiritualità di San Francesco?
La libertà. Credo la libertà. Gli occhi aperti alla totalità.