Cassone (Ct), 19/07/2015
Intervento di Sofia Tisato (appunti)
Orlando Tisato proviene da una famiglia povera ed è di formazione autodidatta (viene bocciato per due volte in seconda elementare). Ma vive un’esperienza determinante: ha una visione (il Povero Gesù) e da allora ripeterà: “Io cerco sempre Quello che mi ha guardato”.
Decide di entrare in seminario, pur non avvertendo una reale vocazione alla vita religiosa, insofferente com’è alle regole di qualsiasi gruppo; sperimenta una forte tensione alla perfezione e desidera “essere capace di Dio”. Per la vocazione abbandona la propria pittura dell’epoca: realismo, paesaggi e ritratti.
I sette anni in seminario sono frustranti, fortunatamente segnati dall’incontro con una grande figura: padre Basilio Martinelli, il suo primo maestro. È Basilio a trasmettergli l’amore per la teologia trinitaria, che Orlando condensa nella frase evangelica “Ut omnes unum sint”, “Che tutti siano uno”, ripetuta e riprodotta nelle sue opere come un motto.
Abbandonata la vita religiosa per cause esterne, Orlando ritorna a vivere a Noventa, sua cittadina d’origine, e si inserisce nella scena pittorica padovana, con riscontri positivi. Dopo vari esperimenti approda all’astrattismo, che considera la sua forma più intima e profonda di pittura religiosa, pur non abbandonando mai del tutto il figurativo. Un premio alla Mostra Internazionale d’Arte Sacra di Trieste gli consente di conoscere William Congdon, pittore americano convertito al cattolicesimo, che vive ad Assisi come “monaco-artista”. Decide di contattarlo.
Grazie al sostegno materiale e l’amicizia di Congdon, Orlando Tisato si trasferisce ad Assisi nel 1961; vi trascorre alcuni anni inquieti, segnati dalla povertà e dalla difficoltà di individuare una propria strada, ma al tempo stesso stringe importanti contatti umani con altri artisti dell’Umbria, mentre forma la sua pittura sull’esempio del Giotto della Basilica Superiore e della pittura bizantina. I colori, le campiture, la riproduzione di incrostazioni e patine lasciate dal tempo saranno individuabili nelle sue produzioni fino alla fine.
Nel 1966 Orlando individua finalmente la sua via: chiede di entrare a far parte dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, prendendo i contatti con il fondatore René Voillaume. Il suo noviziato coincide con la nascita di Spello, su progetto di Carlo Carretto, noto uomo di chiesa autore delle “Lettere dal deserto”: insieme ad altri giovani raggiunge il paese umbro, situato a pochi chilometri da Assisi, per fondare una nuova comunità destinata al ritiro spirituale e alla meditazione. In pochi anni l’esperienza di Spello coinvolge migliaia di persone, desiderose di sperimentare il “deserto”.
Nel 1969 Orlando viene indirizzato, insieme ad un confratello, alla fondazione di una nuova Fraternità a New York, Manhattan, nelle zone più degradate della città. Collabora attivamente con Dorothy Day nel recupero degli emarginati, ma crea soprattutto un atelier di pittura, aperto al pubblico, per accogliere i passanti nelle ore più intense della sera. In questo periodo raggiunge la massima espressione artistica, nell’astratto, su modello di Mondrian e Rothko, ottenendo l’inserimento nella prestigiosa collezione del Boston Fine Arts Museum, quale unico artista italiano vivente.
Dopo un anno di permanenza americana, sconvolto dall’incontro con gli uomini della Bowery, alcolizzati e morenti sulle strade, e con i giovani hippy confusi e smarriti, Orlando fa ritorno definitivamente in Italia e rompe i rapporti con i Piccoli Fratelli. Seguono anni di instabilità, nei quali fa dono ad un sacerdote amico, don Giancarlo, di una Vergine che porta la seguente intestazione: “Che la Madre di Dio perdoni questa mia Povertà ed accolga il mio dolore”. Le sue opere astratte divengono “bianche”, essenziali, corpuscolari.
Nel 1975 il matrimonio con Lella Castellani gli dà nuova serenità. Stabilitosi definitivamente nella piccola casa di lei a Spello, esplora nuove tecniche: i “fili”, opere complesse realizzate esclusivamente con la stoffa, e nella parte finale della sua vita le “lattine”, composizioni basate quasi esclusivamente su materiali di recupero. Non abbandona mai la pittura, come dimostra la realizzazione nel 1995 delle 12 icone “Chiesa dell’Apocalisse, la chiesa di mia madre” per la parrocchia di Sarmeola di Rubano.
Tra le sue ultime opere spicca “Gesù è la testa, noi siamo i suoi barattoli”, realizzato interamente nel materiale indicato dal titolo. Alla sua morte, sempre rimpianto e mai dimenticato, molti lo ricorderanno e rivolgeranno ancora a lui come “il Maestro”.
Intervento di Sofia Tisato (appunti)
Orlando Tisato proviene da una famiglia povera ed è di formazione autodidatta (viene bocciato per due volte in seconda elementare). Ma vive un’esperienza determinante: ha una visione (il Povero Gesù) e da allora ripeterà: “Io cerco sempre Quello che mi ha guardato”.
Decide di entrare in seminario, pur non avvertendo una reale vocazione alla vita religiosa, insofferente com’è alle regole di qualsiasi gruppo; sperimenta una forte tensione alla perfezione e desidera “essere capace di Dio”. Per la vocazione abbandona la propria pittura dell’epoca: realismo, paesaggi e ritratti.
I sette anni in seminario sono frustranti, fortunatamente segnati dall’incontro con una grande figura: padre Basilio Martinelli, il suo primo maestro. È Basilio a trasmettergli l’amore per la teologia trinitaria, che Orlando condensa nella frase evangelica “Ut omnes unum sint”, “Che tutti siano uno”, ripetuta e riprodotta nelle sue opere come un motto.
Abbandonata la vita religiosa per cause esterne, Orlando ritorna a vivere a Noventa, sua cittadina d’origine, e si inserisce nella scena pittorica padovana, con riscontri positivi. Dopo vari esperimenti approda all’astrattismo, che considera la sua forma più intima e profonda di pittura religiosa, pur non abbandonando mai del tutto il figurativo. Un premio alla Mostra Internazionale d’Arte Sacra di Trieste gli consente di conoscere William Congdon, pittore americano convertito al cattolicesimo, che vive ad Assisi come “monaco-artista”. Decide di contattarlo.
Grazie al sostegno materiale e l’amicizia di Congdon, Orlando Tisato si trasferisce ad Assisi nel 1961; vi trascorre alcuni anni inquieti, segnati dalla povertà e dalla difficoltà di individuare una propria strada, ma al tempo stesso stringe importanti contatti umani con altri artisti dell’Umbria, mentre forma la sua pittura sull’esempio del Giotto della Basilica Superiore e della pittura bizantina. I colori, le campiture, la riproduzione di incrostazioni e patine lasciate dal tempo saranno individuabili nelle sue produzioni fino alla fine.
Nel 1966 Orlando individua finalmente la sua via: chiede di entrare a far parte dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, prendendo i contatti con il fondatore René Voillaume. Il suo noviziato coincide con la nascita di Spello, su progetto di Carlo Carretto, noto uomo di chiesa autore delle “Lettere dal deserto”: insieme ad altri giovani raggiunge il paese umbro, situato a pochi chilometri da Assisi, per fondare una nuova comunità destinata al ritiro spirituale e alla meditazione. In pochi anni l’esperienza di Spello coinvolge migliaia di persone, desiderose di sperimentare il “deserto”.
Nel 1969 Orlando viene indirizzato, insieme ad un confratello, alla fondazione di una nuova Fraternità a New York, Manhattan, nelle zone più degradate della città. Collabora attivamente con Dorothy Day nel recupero degli emarginati, ma crea soprattutto un atelier di pittura, aperto al pubblico, per accogliere i passanti nelle ore più intense della sera. In questo periodo raggiunge la massima espressione artistica, nell’astratto, su modello di Mondrian e Rothko, ottenendo l’inserimento nella prestigiosa collezione del Boston Fine Arts Museum, quale unico artista italiano vivente.
Dopo un anno di permanenza americana, sconvolto dall’incontro con gli uomini della Bowery, alcolizzati e morenti sulle strade, e con i giovani hippy confusi e smarriti, Orlando fa ritorno definitivamente in Italia e rompe i rapporti con i Piccoli Fratelli. Seguono anni di instabilità, nei quali fa dono ad un sacerdote amico, don Giancarlo, di una Vergine che porta la seguente intestazione: “Che la Madre di Dio perdoni questa mia Povertà ed accolga il mio dolore”. Le sue opere astratte divengono “bianche”, essenziali, corpuscolari.
Nel 1975 il matrimonio con Lella Castellani gli dà nuova serenità. Stabilitosi definitivamente nella piccola casa di lei a Spello, esplora nuove tecniche: i “fili”, opere complesse realizzate esclusivamente con la stoffa, e nella parte finale della sua vita le “lattine”, composizioni basate quasi esclusivamente su materiali di recupero. Non abbandona mai la pittura, come dimostra la realizzazione nel 1995 delle 12 icone “Chiesa dell’Apocalisse, la chiesa di mia madre” per la parrocchia di Sarmeola di Rubano.
Tra le sue ultime opere spicca “Gesù è la testa, noi siamo i suoi barattoli”, realizzato interamente nel materiale indicato dal titolo. Alla sua morte, sempre rimpianto e mai dimenticato, molti lo ricorderanno e rivolgeranno ancora a lui come “il Maestro”.