INTERVENTO AI MUSEI CIVICI EREMITANI 09/06/2015
Cinque anni di lavoro, una sessantina di persone intervistate, centinaia di lettere, cinque audiocassette di interviste, una quantità imprecisata di scritti e foto lasciati in ordine sparso da Orlando Tisato: desiderava proprio raccontarsi, anche se non l’ho fatto ‘a modo suo’. Una grande mole di lavoro per ricomporre i “frammenti” e restituire ai lettori la visione unitaria di una figura eclettica, piena di contraddizioni, ma al tempo stesso molto coerente. Una persona amabile e generosissima, che si fa rimpiangere da tutti, ed al tempo stesso un polemico che non perdonava ed era pronto a lasciare intorno a sé “terra bruciata”. Un uomo cresciuto in mezzo alle stoffe e i vestiti alla moda, frequentatore della mondanità di Padova e Assisi, che al tempo stesso ama rincorrere l’ideale di San Francesco, scegliendo l’Umbria come terra d’elezione e ama identificarsi con la figura del pellegrino, precisamente “pellegrino dell’assoluto”.
I luoghi della memoria: il prato davanti a Villa Collizzolli, dove oggi si vedono delle bricole colorate , dove lui nel ’98 aveva posto una tenda variopinta. “Niente è nell’anima che non sia prima nel corpo”. Legato alla madre come in simbiosi, riceve da lei la religiosità profonda e la tensione al misticismo. Ma è in seminario che consolida i cardini della sua spiritualità, in alcuni concetti fondamentali:
Cinque anni di lavoro, una sessantina di persone intervistate, centinaia di lettere, cinque audiocassette di interviste, una quantità imprecisata di scritti e foto lasciati in ordine sparso da Orlando Tisato: desiderava proprio raccontarsi, anche se non l’ho fatto ‘a modo suo’. Una grande mole di lavoro per ricomporre i “frammenti” e restituire ai lettori la visione unitaria di una figura eclettica, piena di contraddizioni, ma al tempo stesso molto coerente. Una persona amabile e generosissima, che si fa rimpiangere da tutti, ed al tempo stesso un polemico che non perdonava ed era pronto a lasciare intorno a sé “terra bruciata”. Un uomo cresciuto in mezzo alle stoffe e i vestiti alla moda, frequentatore della mondanità di Padova e Assisi, che al tempo stesso ama rincorrere l’ideale di San Francesco, scegliendo l’Umbria come terra d’elezione e ama identificarsi con la figura del pellegrino, precisamente “pellegrino dell’assoluto”.
I luoghi della memoria: il prato davanti a Villa Collizzolli, dove oggi si vedono delle bricole colorate , dove lui nel ’98 aveva posto una tenda variopinta. “Niente è nell’anima che non sia prima nel corpo”. Legato alla madre come in simbiosi, riceve da lei la religiosità profonda e la tensione al misticismo. Ma è in seminario che consolida i cardini della sua spiritualità, in alcuni concetti fondamentali:
- L’affermazione del valore assoluto
dell’individuo, il rifiuto di piegarsi a qualsiasi istituzione, e al tempo
stesso la tensione di tutte le cose all’unità, secondo la frase “Ut omnes unum
sint” ;
- La capacità di vedere l’Icona, ovvero il volto
del Metafisico, nelle cose e nelle persone, e al tempo stesso la consapevolezza
di essere visto- “Videre/Videri”;
- La meditazione nel silenzio, l’importanza di
ascoltare prima ancora di vedere (sostare lungo il muro, costruire una tenda.)
A New York, con i Piccoli Fratelli, la cappella dell’adorazione silenziosa nel
cuore frenetico della metropoli. Restare accanto agli ultimi come presenza
silenziosa.
- Il valore del corpo, “pregare col corpo”, “unire
i piedi all’anima”: le performance, la danza gioiosa come forma di preghiera. “Quando eravamo
tanto poveri da non potere giocare mai una partita vera, camminavo con le mani
per mostrare i miei piedi nudi al cielo. C'è stato sempre un interlocutore
solo, Dio! Dio
dentro di me, nel mio corpo, Dio in mezzo di noi, contro ogni forma di miseria
e disperazione.”
Fallito il sogno della vocazione, Orlando va incontro in molti modi alla sofferenza: malattia fisica, malattia psichica, che lo espone al giudizio della società come “matto”, e soprattutto enorme sensibilità per la sofferenza dell’umanità che lo circonda, dal padre alpino tornato dalla guerra alcolizzato e distrutto ai giovani che si consumano nelle strade di New York. La pittura è come dice lui stesso la risposta: pittura regale, bizantina, giottesca e al tempo stesso sempre all’inseguimento dell’ultima novità. Cosa ama di Giotto? Le incrostazioni depositate dal tempo, i quadrati e le campiture delle cornici sotto alle illustrazioni, che per lui sono il Sublime. Cosa ama dell’avanguardia americana? Nessuno come Rothko ha ricercato Dio. L’astratto è la più alta espressione di religiosità.
Le incredibili realizzazioni degli anni Ottanta, i “fili”, servono a suo dire “ad intrappolare i poveri che hanno bisogno di toccare”. Le lattine schiacciate la massima espressione della valorizzazione di ciò che è calpestato da tutti. Tutto è bellezza, senza alcuna distinzione tra astratto e figurativo, tra la latta di un olio, una tanica sfondata, una giacca fucsia da donna da indossare abbinata alle Sneakers argentate, o un paramento sacro eseguito con seta d’oro e pietre preziose. Quando l’età rende troppo difficile reggere il pennello, qualsiasi oggetto applicato alla tela è colore e miracolo: il suo luogo di rifornimento preferito è una tipografia di Padova che gli dona carta colorata e figurine dei calciatori.
Ho voluto inserire come citazione iniziale il brano della Genesi in cui Giacobbe lotta con un angelo. Orlando aveva appreso dal suo amico pittore William Congdon il concetto della pittura come “lottare con l’angelo”. E l’angelo del racconto biblico lascia un segno, una lesione permanente. Così Congdon e Tisato lottano continuamente contro la tela, rifiutandosi di “fare quadri” e parlando invece di “figli nati”. Per loro la pittura è un Dono (maiuscola), pertanto Tisato è estremamente polemico nei confronti del mercato dell’arte, non dipinge a comando, non accetta i dettami dei galleristi, non cerca amicizie politiche. Regala i suoi quadri ai parenti che lo hanno invitato ad un matrimonio, oppure li baratta con il conto di un ristorante in cui ha banchettato con gli amici, e si rifiuta piuttosto di vendere un quadro ad Anthony Perkins, capitato nel suo studio dal prestigioso teatro di New York “La Mama”.
“La moralità di un artista risiede nell’obbedienza al Dono”.
Orlando non dava importanza alla fama, si considerava sempre fuori posto, in una dimensione che, parafrasando Thomas Merton, chiamava il “Non luogo” . Ciò che voleva realizzare più di ogni altra cosa era essere libero, povero di tutto, anche della sua pittura: A proposito di Sarmeola (1995) “Il colore che illumina lo spazio di questa chiesa non mi appartiene, non appartiene alla mondanità! E' la luce creata ma nella Morte- Risurrezione di Cristo. Non è ciò che avrei voluto io, ma è come m'è stato donato. Possono bruciare tutto quanto ho realizzato. Non aggiungerebbero niente alla mia povertà, non toglierebbero niente alla mia identità sepolta.”